Il 1853 segna una data storica per il Giappone: il commodoro Matthew C. Perry, della Marina Americana, entra nella baia di Tokyo con una flotta di 4 navi da guerra consegnando allo Shogun un messaggio col quale si chiedevano l'apertura dei porti e trattati commerciali. Lo Shogun, probabilmente intimorito dalla dimostrazione di forza, rimise la decisione nelle mani dell'Imperatore che accettò quanto proposto. Per il Giappone, che fino a quel momento aveva vissuto in completo isolamento dal resto del mondo, inizia l'era moderna. La definitiva caduta dell'ultimo Shogun avvenuta nel 1867 ripristinò definitivamente il potere imperiale che, a segno di una definitiva uscita del Giappone dal periodo feudale, promulgò nel 1876 un editto col quale si proibiva il porto delle spade, decretando la scomparsa della classe sociale dei samurai, che avevano dominato per quasi mille anni.
Vi furono importanti cambiamenti culturali nella vita dei giapponesi dovuti all'assorbimento della mentalità occidentale e naturalmente ciò provocò un rigetto per tutto ciò che apparteneva al passato, compresa la cultura guerriera che tanto aveva condizionato la vita del popolo durante il periodo feudale. Il jujitsu, facente parte di questa cultura, da nobile che era scomparve quasi del tutto. Le antiche arti del combattimento tradizionale vengono ignorate anche a causa della diffusione delle armi da fuoco ed i numerosi dojo allora esistenti furono costretti a chiudere per mancanza di allievi; i pochi rimasti erano frequentati da ex guerrieri dediti a combattere per denaro e spesso coinvolti in crimini. Questo influenzò ulteriormente il giudizio negativo del popolo nei confronti del jujitsu nel quale vedeva un'espressione di violenza e sopraffazione.
È in questo contesto di cose che si inserisce la figura di Jigorō Kanō: egli, professore universitario di Inglese ed economia, dotato di notevoli capacità pedagogiche, intuì l'importanza che potevano avere lo sviluppo fisico e la capacità nel combattimento se venivano usate proficuamente per lo sviluppo intellettuale dei giovani.
Per prima cosa eliminò tutte le azioni di attacco armato e non che potevano portare al ferimento a volte anche grave degli allievi: queste tecniche furono ordinate nei kata, in modo che si potesse praticarle senza pericoli. Poi studiò e approfondì il nage waza appreso alla scuola Kito, formando così un sistema di combattimento efficace e gratificante. Ma la vera evoluzione rispetto al jujitsu si ebbe con la formulazione dei principi fondamentali che regolavano la nuova disciplina: Seiryoku zen'yō (il miglior impiego dell'energia fisica e mentale) e Jita kyo'ei (tutti insieme per crescere e progredire). L'uomo migliora sé stesso attraverso la pratica del judo e contribuisce al miglioramento della società, e questo è possibile solo con la partecipazione intelligente di tutti. Lo scopo finale del jujitsu era il raggiungimento della massima abilità nel combattimento; nel judo l'abilità è il mezzo per giungere alla condizione mentale del "miglior impiego dell'energia".
Ciò significa impiegare proficuamente le proprie risorse, il proprio tempo, il lavoro, lo studio, le amicizie, ecc., allo scopo di migliorarsi continuamente nella propria vita e nelle relazioni con gli altri, conformando cioè la propria vita al compimento del principio del "miglior impiego dell'energia". Si stabilì cosi l'alto valore educativo della disciplina del judo, unita alla sua efficacia nel caso venisse impiegato per difendersi dalle aggressioni.
Il judo mira a compiere la sintesi tra le due tipiche espressioni della cultura giapponese antica e cioè Bun-bu, la penna e la spada, la virtù civile e la virtù guerriera: ciò si attua attraverso la pratica delle tre discipline racchiuse nel judo, chiamate rentai (cultura fisica), shobu (arti guerriere), sushin (coltivazione intellettuale).
Il judo conobbe una straordinaria diffusione in Giappone, tanto che non esisteva una sola città che non avesse almeno un dojo, e parallelamente si diffuse nel resto del mondo grazie a coloro che viaggiando per il Giappone (principalmente commercianti e militari) lo appresero reimportandolo nel loro paese d'origine. Non meno importante fu la venuta in Europa intorno al 1915 di importanti maestri giapponesi, allievi diretti di Jigoro Kano, che diedero ulteriore impulso allo sviluppo del judo, tra cui Koizumi in Inghilterra e Kawaishi in Francia.
Jigorō Kanō morì nel 1938, in un periodo in cui purtroppo il Giappone, mosso da una nuova spinta imperialista, si stava avviando verso la seconda guerra mondiale. Dopo la disfatta, la nazione venne posta sotto il controllo degli USA per dieci anni e il judo fu sottoposto ad una pesante censura poiché catalogato tra gli aspetti pericolosi della cultura giapponese che spesso esaltava la guerra.
Fu perciò proibita la pratica della disciplina ed i numerosi libri e filmati sull'argomento vennero in gran parte distrutti. Il judo venne poi "riabilitato" grazie al CIO (Comitato Olimpico Internazionale) di cui Jigorō Kanō fece parte quale delegato per il Giappone, e ridotto a semplice disciplina di lotta sportiva ma i suoi valori più profondi sono ancora presenti e facilmente avvertibili dai partecipanti.